La collocazione di canne fumarie sul muro perimetrale di un edificio o una corte interna, può essere effettuata anche senza il consenso degli altri condomini, purché non impedisca agli altri condomini l'uso del muro comune e non ne alteri la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità. Il singolo condomino ha quindi titolo, anche se il condominio non abbia dato o abbia negato il proprio consenso, a ottenere la concessione edilizia per un'opera a servizio della sua abitazione e sita sul muro perimetrale comune, che si attenga ai limiti suddetti.

In tale senso la giurisprudenza ha costantemente ribadito che poiché i muri perimetrali dell’edificio condominiale, i cui piani appartengono a proprietari diversi, sono comuni pro indiviso per l’intera estensione, ne consegue che ciascun condomino può, senza il preventivo assenso assembleare, legittimamente servirsi nel suo interesse del muro comune, sia nella parte corrispondente al piano di sua proprietà, sia nella parte corrispondente al piano di altri non solo secondo la destinazione usuale, ma anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri partecipanti al condominio, purché tale specifica utilizzazione rientri tra le destinazioni normali della cosa e non alteri l’utilizzazione praticata da altri, non comprometta il decoro architettonico dell’edificio e non menomi l’esercizio concorrente degli altri condomini.

Neppure si possono invocare in merito le norme sulle distanze legali tra edifici in quanto, ha osservato la Corte di Cassazione, la canna fumaria non è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto e quindi non trova applicazione la disciplina di cui all’art. 907 c.c.

Ed Invero, afferma la Suprema Corte  "vi è difficoltà di concepire una canna fumaria (nella specie un tubo in metallo) come costruzione ai sensi dell’art. 907 c.c., trattandosi di manufatto che costituisce un semplice accessorio di un impianto (nella specie forno), facente parte di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, collocato non nel fondo adiacente a quello del condomino che ne denunzia la illegittimità, ma nello spazio non condominiale. Sembra più corretto valutare la legittimità dell’opera in funzione non dell’art. 907 cc ma del principio desumibile dall’art. 1102 c.c.) secondo cui, come dedotto, ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso" (Cass. Civ. sez. II, 23 febbraio 2012, n. 2741).

In tale senso, tra le altre:

- Cass. Civ., Sez. II, 3 marzo 2014, n. 4936;

- Tar Marche, sentenza n. 648 del del 01.08.2017;

- Tribunale di Trento, 16 maggio 2013, n. 432;