L'assenza o l'incompletezza della cartella clinica può essere apprezzata dal giudice per accertare il nesso causale tra la condotta del medico e il danno subito dal paziente.

La Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio:"l'ipotesi di incompletezza della cartella clinica va ritenuta circostanza di fatto che il giudice di merito può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza d'un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente, operando la necessaria duplice verifica affinché quella incompletezza rilevi ai fini del decidere ovvero, da un lato, che l'esistenza del nesso di causa tra condotta del medico e danno del paziente non possa essere accertata proprio a causa della incompletezza della cartella; dall'altro che il medico abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno, incombendo sulla struttura sanitaria e sul medico dimostrare che nessun inadempimento sia a loro imputabile ovvero che esso non è stato causa del danno, incombendo su di essi il rischio della mancata prova".

Già in passato la Cassazione aveva evidenziato come la difettosa tenuta della cartella clinica non solo non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra condotta colposa dei medici e patologia accertata, ma consente il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, in base al criterio di vicinanza della prova nella ripartizione dell'onere probatorio.

Corte di Cassazione, sez. III civile, sent. 7250/2018 del 9 gennaio-23 marzo 2018.